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Immagine del redattoreSerenditipi

Focus: Sweet Home

Fenomeno hikikomori.


 

Il protagonista del drama Sweet Home viene espressamente indicato come hikikomori, un fenomeno “sociale” molto diffuso in Asia (si contano 1 milione di casi solo in Giappone) che si è espanso anche nel resto del mondo passando inosservato ai più.


Il fenomeno degli hikikomori è stato scoperto e studiato per la prima volta dallo psichiatra Tamaki Saitō tra il 1978 e la fine degli anni Novanta circa. Come indica il termine stesso in giapponese si tratta della tendenza a “chiudersi in casa”, eliminando ogni contatto con il mondo esterno per un lungo periodo.

Inizialmente venne interpretata come malattia psichiatrica, per poi essere analizzata a più ampio raggio dal punto di vista antropologico. La scelta di isolamento, si è scoperto, può derivare dalla volontà dell’individuo di fuggire da parametri sociali, bullismo, ansia sociale, ma anche ambiente lavorativo e dinamiche familiari.

È risaputo, infatti, che già da ragazzi la pressione di mantenere standard scolastici elevati – specie in Asia dove è comune seguire dei corsi di studio intensivi oltre all’orario scolastico – abbia forti ripercussioni sulla psiche dei più giovani, schiacciati dai ritmi frenetici e dalla sensazione di inadeguatezza sociale. Senza dimenticare, inoltre, gli episodi di bullismo che possono spingere gli scolari ad abbandonare precocemente la scuola. Questa espressione di disagio sociale è riconducibile alla struttura della società giapponese, dove vi è un forte sistema gerarchico, già marcato tra i ragazzi e sempre più pressante tra gli adulti.

Tra le cause è da considerare anche l’impostazione della famiglia Giapponese, caratterizzata spesso da un padre assente per lavoro e una madre troppo presente, tanto da instaurare un rapporto di dipendenza reciproca con il figlio (vedi sul sito Giappone per tutti).


È quindi da escludere una condizione psichiatrica preesistente, ma non bisogna neanche stigmatizzare la società giapponese a priori. Possono intervenire, infatti, fattori esterni di ogni tipo (come traumi specifici o aspetti caratteriali), ed è quindi difficile analizzare la situazione in modo generale perché ogni caso può derivare da fattori differenti e quindi deve essere affrontato in maniera diversa.

In Giappone hanno riconosciuto questo problema e hanno attivato programmi di integrazione sociale promossi da associazioni no profit.

Si è detto quindi che l’assetto sociale è sicuramente una delle cause, ma com’è possibile che pur avendo due culture totalmente differenti in Italia siamo arrivati a 100 mila casi di hikikomori? Si tratta, in realtà, di «un disagio adattivo sociale che riguarda tutti i paesi economicamente sviluppati del mondo» (Hikikomori Italia).

Ancora una volta si ritorna all’aspettativa sociale, familiare, l’idea di doversi laureare, prendere buoni voti, trovare un buon lavoro, sposarsi, i figli, una strada già scritta dalla nascita che si ripete come una cantilena a ogni bambino per ogni anno della sua crescita.

«Spiega all’Agi Crepaldi: “L’hikikomori è il frutto di una società che esercita sui ragazzi una serie di pressioni che vanno dai buoni voti scolastici, alla realizzazione personale, alla bellezza fino alla moda”. Ragazzi e ragazze si trovano così a dover colmare virtualmente il gap che si viene a creare tra la realtà e le aspettative di genitori, insegnanti e coetanei. Quando questo gap diventa troppo grande si sperimentano sentimenti di impotenza, perdita di controllo e di fallimento.» (Agi)


E proprio per questo, l’hikikomori decide di isolarsi da tutti, eliminando la fonte del proprio stress: genitori, insegnanti, amici.



Possiamo riflettere, dunque, sul fatto che la presenza di uno o più fattori legati a un carattere introverso, l’assenza di una figura genitoriale opposta a un genitore accomodante, la presenza di abusi in ambito scolastico e forti pressioni esterne legate alle aspettative sociali, possano sfociare in comportamenti di auto-reclusione.


Ma ciò che bisogna sapere è che non si tratta di ragazzi depressi o ossessionati dai videogiochi e dal mondo virtuale


Aiutare un hikikomori non è semplice, soprattutto perché si rischia di cadere proprio nell’atteggiamento che in primis porta questi ragazzi a chiudersi: spingerlo verso la strada già scritta per lui. Esistono infatti delle “buone prassi” per aiutarli a reinserirsi nella società.

Anche in Italia, dal 2017 è nata un’associazione che si impegna ad aiutare gli hikikomori, si tratta di “Hikikomori Italia” nata dalla campagna di sensibilizzazione avviata dallo psicologo Marco Crepaldi nel 2013.


Un buon primo passo è sempre quello di riconoscere l’esistenza di un problema, il secondo è quello di conoscerlo e agire per trovare una soluzione.


Nel drama, e ancora meglio nel webtoon, il protagonista mostra la sua vera natura nel momento in cui la situazione si fa difficile. Esce dal suo guscio e si dimostra una persona intelligente e sensibile, pronto a sacrificarsi per gli altri, nonostante venga trattato con sospetto e diffidenza da loro.

Bisognerebbe riuscire a vedere il mondo che una persona ha dentro e non proiettare sugli altri le nostre aspettative, non pensare a ciò che l’altro “dovrebbe essere”.



 

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